Nel dicembre 2016, in seguito a una piena della Stura di Demonte, Pier Luigi Beraudo segnalava il ritrovamento di legno nel letto del fiume, all'altezza di Fossano. Il prof. Edoardo Martinetto, paleobotanico dell'Università degli Studi di Torino, riconobbe nel sito una vera e propria foresta fossile, risalente a circa 4 milioni di anni fa.
Il sito fu studiato approfonditamente e venne cartografato insieme al dott. Marco Calandri (Studio A&T Progetti s.r.l., Fossano).
Dagli studi emerse che si trattava della più antica foresta fossile italiana finora nota: ve ne sono altre, estremamente simili, come ad esempio quella della Stura di Lanzo o quella di Dunarobba, in Umbria, ma risalgono tutte al massimo a 3,1 milioni di anni fa. I reperti di quella miocenica in Sardegna, invece, pur essendo più antichi, non sono conservati in posizione di crescita.
Per inquadrare la storia di questa foresta occorre ricordare che la pianura padana, anche nella zona del fossanese, era occupata da un braccio di mare profondo che copriva tutta la zona fino al Messiniano, circa 6 milioni di anni fa. In quest'epoca ci fu l'evento evaporitico che portò alla quasi totale scomparsa del mar Mediterraneo, e di cui restano ampi depositi di sali, come quello dei gessi della Spiaggia dei Cristalli a Verduno (vedi scheda QUI). L'evento durò circa 1 milione di anni e alla riapertura dello stretto di Gibilterra ci fu il ritorno del mare anche in questa zona, ma la pianura si stava ormai sollevando con continuità sotto la spinta della placca africana contro quella europea. In una serie di regressioni e trasgressioni marine, la zona vide il ritiro definitivo del mare circa 4 milioni di anni fa, epoca a cui risale la foresta fossile.
In quella ultima, breve permanenza del mare, ci furono alternanze di depositi di ambiente relativamente profondo, formati da argille di colore scuro (formazione delle Argille Azzurre, risalente al Pliocene inferiore, lo Zancleano), e di sabbie di ambiente costiero (formazione delle Sabbie di Asti), seguite infine dai depositi tipici dei delta fluviali e continentali, ormai nel Pleistocene. L'ambiente di transizione fra marino e continentale viene definito "Villafranchiano". Può essere difficile seguire tutte le fasi alternate dei depositi perché strati identici possono essersi formati in periodi diversi: lo studio della zona di Fossano è risultato utile anche in questo senso.
In sostanza, qui c'era la foce a delta di un fiume, con un clima più caldo dell'attuale, che andava colmandosi piuttosto rapidamente. In questo tipo di ambienti vivevano per esempio dei proboscidati come il Platybelodon, come quello ritrovato a Verduno ed esposto al Museo civico archeologico e di scienze naturali "Federico Eusebio" di Alba. Nel Pleistocene si è passati dall'ambiente paludoso e salmastro a quello tipicamente continentale, con la scomparsa del mare, che si ritirava sempre più a est, e il deposito della spessa coltre che si può ancora osservare oggi: la scarpata sinistra del fiume ne indica l'altezza.
In epoca geologicamente recentissima, l'evento di cattura del Tanaro (vedi scheda QUI) innescò una rapida erosione dei depositi continentali accumulati fino quel momento: nella zona dove oggi sorge Cherasco, il Tanaro deviò il suo corso riversandosi nel letto di un piccolo fiume vicino, e finì per sfociare nel Po in un punto diverso: non più nella zona di Caramagna, ma in quella di Valenza, 150 metri più basso in quota. Il fiume accelerò dunque il suo corso e la fase di erosione violenta che iniziò all'epoca fece approfondire il suo corso rapidamente, e di conseguenza anche i suoi affluenti, come la Stura di Demonte, lo seguirono in questo abbassamento di quota. Tutta la scarpata visibile nell'area della foresta fossile è stata scavata in queste ultimi 100.000 - 70.000 anni, fino a intercettare nuovamente i depositi Villafranchiani.
Oggi l'erosione continua e la pianura prosegue a sollevarsi. Il fiume si approfondisce ogni anno, distruggendo gli strati che mette in luce con tutto ciò che contengono, ma svelando ad ogni piena nuovi reperti che prima erano sepolti.
Gli alberi della foresta fossile appartengono alla specie Glyptostrobus europaeus: si tratta di una cupressacea, quindi una conifera, con foglie caduche. Queste erano piccole, di tre forme diverse: cupressoide (squama), criptomeroide (ago), tassodioide (piatte e oblunghe). I coni potevano essere relativamente piccoli. La forma generale dell'albero era simil-mangrovia, con radici a raggiera superficiali, una grossa ceppaia tondeggiante, e un fusto più piccolo di diametro, ma alto 12 metri o più.
Per valutare l'aspetto si possono confrontare i resti fossili con la specie vivente più simile, Glyptostrobus pensilis, che vive allo stato spontaneo solo nella provincia cinese di Zhu Jiang e nel Laos. Alcuni esemplari sono anche coltivati in Piemonte proprio per illustrare la somiglianza con la specie fossile.
La specie era dominante nelle foreste del nord Italiane nel periodo plio-pleistocenico ma la sua storia inizia nel Cretaceo, quando era diffusa negli ambienti paludosi dei continenti settentrionali, dal Nord America all'Asia. Si è estinta nel Pleistocene.
A Fossano si possono osservare le ceppaie in posizione di crescita, con le radici che si allungano a raggiera, in certi casi anche per 4 metri o più. Vi sono poi tronchi caduti, rari strobili e rami, su cui in certi casi si riconoscono le foglie. Si rinvengono anche molluschi tipici dell'ambiente Villafranchiano.
Il legno non è del tutto mineralizzato, ma piuttosto mummificato e ancora con ampie porzioni organiche. Questo fa sì che, quando il legno viene portato in luce ed esposto all'aria, si decomponga molto rapidamente e si spezzi in piccoli frammenti, per cui dei primi tronchi emersi non resta più traccia, ma nuovi individui emergono ad ogni piena del fiume.
Le foreste è vissuta in realtà in due fasi, su due quote differenti separate da livelli di sabbie e argille. Ciò indica una fase trasgressiva e poi regressiva del mare, che dopo aver inondato l'area della foresta l'ha infine abbandonata, consentendone di nuovo il ritorno.
BIBLIOGRAFIA
Uggé, Macalusio, Martinetto, 2018: Fossano: foresta fossile del Pliocene. in: Notiziario della soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo. (Reperibile in pdf QUI)
Macaluso, Martinetto, Vigna, Bertini, Cilia, Teodoris, Kvaček, 2018: Palaeofloral and stratigraphic context of a new fossil forest from the Pliocene of NW Italy. In: Review of Paleobotany and Palynology, volume 248, pages 15-33 (Reperibile QUI)
Si raccomanda di non raccogliere i fossili, in quanto tale azione è vietata ai privati dalla legge n. 1089 del 1939 e dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio del 2004. Se si rinvengono elementi di interesse occorre segnalarli entro breve tempo secondo le modalità vigenti.
Autore: Dario Olivero
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