Alabastro di Busca

Un magnifico alabastro orientale, tipico, agatato e ondulato, a tinte calde dal giallo chiaro al lionato scuro, con parti anche candide e anche paonazze e di superbo effetto sia nel taglio trasversale che in quello longitudinale specialmente quando mostra chiazze frequenti paonazze e bianche diafane. (V.Bonadè-Bottino- Notizie sulle cave di Busca Torino 1911 in Occelli: Busca nei tempi antichi e moderni pp. 11,12)

L'alabastro di Busca è una pregiata pietra ornamentale, usata per secoli per decorare importanti monumenti in Piemonte e all'estero. Oggi le cave sono esaurite e costituiscono un bellissimo geosito, interessante sia dal punto di vista storico che geologico e turistico.

Le cave si trovano sulla collina dell'Eremo di Belmonte, vicino a Busca. Il sito si colloca tra le valli Maira e Varaita, nel complesso del Massiccio Dora-Maira (Alpi Cozie). La strada sterrata che raggiunge i canyon percorre la collina a mezza costa su un tragitto panoramico, che affaccia su Busca e sulla pianura.

All'ingresso delle cave i cartelli avvisano del pericolo di caduta dentro le cave dall'alto, nel caso si percorra la zona sovrastante: si raccomanda quindi di non abbandonare la strada.

L'ALABASTRO

Il materiale estratto alla Marmorera viene chiamato alabastro, onice o marmo. In passato, anche all'estero, era noto come Onice Piemonte, ma a rigore l'onice è una varietà di calcedonio, che a sua volta è una varietà del quarzo. Invece l'alabastro propriamente detto è una roccia sedimentaria evaporitica composta da gesso, ma neppure questo è il caso di Busca.

Alla Marmorera si trova infatti l'alabastro calcareo, una roccia sedimentaria ortochimica deposta in ambiente carsico, composta da calcite con aspetto bandato in cui si alternano strati chiari e bruno-rossastri. Si tratta di una flowstone, cioè un tipo di speleotema.

Tra la roccia incassante e l'alabastro, la superficie di contatto è composta da uno strato di argilla, derivato dalla dissoluzione del calcare durante la formazione delle cavità carsiche.

LA FORMAZIONE DELL'ALABASTRO

L'ipotesi elaborata dall'Università di Torino (Marengo & Casta, 2016) ricostruisce la storia partendo da un periodo precedente le glaciazioni, quando la collina era più alta di oggi. I depositi di marmo dolomitico che la costituiscono sono la copertura triassica - liassica del settore meridionale del Massiccio Dora-Maira. Si suppone che avessero delle linee di debolezza interne, che hanno creato fratture in l'acqua penetrava nei periodi climatici caratterizzati da forte piovosità.

In un primo momento la percolazione delle acque è lenta, ma quando le fessure si allargano fino alla soglia critica di alcuni millimetri, l'infiltrazione accelera improvvisamente e la dissoluzione aumenta di molto: da questo momento il calcare viene sciolto dal passaggio dell'acqua. Man mano che passa il tempo, i canali interni alla roccia si allargano e la portata d'acqua aumenta, incrementando ulteriormente la velocità di dissoluzione. In superficie si formano doline, imbuti e inghiottitoi, che conducono le acque meteoriche in profondità. Quando i condotti arrivano a dimensioni centimetriche si parla di grotte da dissoluzione. Le grotte, dapprima molto piccole, si allargano rapidamente. In superficie, intanto, il piano di campagna si abbassa in quota, eroso anch'esso dall'azione dell'acqua.

Nel lungo periodo di formazione delle grotte, il clima è cambiato notevolmente: l'alternanza di fasi glaciali e interglaciali ha modificato anche la piovosità media: quando diminuiva, solo una piccola parte penetrava ancora nelle grotte, che erano percorse soprattutto dall'aria. L'acqua che riusciva a entrare, al contatto con l'aria perdeva la CO2 che conteneva e depositava il carbonato di calcio che trasportava in soluzione, formando le tipiche concrezioni delle grotte.

Questi depositi non erano uniformi, ma subivano l'arrivo di altri materiali nei periodi di piogge intense, come detriti, terra, frammenti vegetali, oltre alle frane interne alle grotte. Si formavano così gli strati alternati di calcare e detriti, che conferivano all'alabastro l'aspetto a bande colorate che sarebbe stato tanto apprezzato millenni dopo.

Le grotte sono una realtà in mutamento continuo, in disequilibrio con l'ambiente circostante: nel corso di alcuni milioni di anni le concrezioni interne crescono al punto di riempire totalmente la cavità, fino a impedire all'acqua di penetrarvi. Nel frattempo la superficie della collina continua ad abbassarsi e alla fine arriverà a intercettare le concrezioni interne, portandole in luce. L'arrivo dei minatori segnerà il momento di scavo dell'alabastro e rimarranno infine solo i canyon vuoti a testimoniare dov'erano le grotte nel lontano passato.

GLI STUDI CLIMATICI

La consistenza, la frequenza e la composizione degli strati intercalati al calcare dipendono dai materiali sovrastanti la grotta, dal clima e, conseguentemente, dalla piovosità del periodo. Studiando questi strati è possibile quindi fare una ricostruzione paleoambientale: livelli più ricchi di detriti ci parlano di flussi idrici intensi e turbolenti, quindi con maggiore piovosità, mentre cristalli di calcite sottili e allungati, di colore limpido, indicano periodi con piovosità scarsa ma distribuita nel corso dell'anno.

La formazione dell'alabastro di Busca è iniziata 350.000 anni fa ed è proseguita fino a circa 55.000 anni fa: lo studio paleoclimatico risulta molto interessante perché copre il periodo di tre fasi glaciali, da quella che era chiamata Mindel (300.000-455.000 anni fa), alla Riss (130.000-200.000 anni fa), alla Würm (12.000-11.000 anni fa) e i relativi due periodi interglaciali, oltre all'attuale in cui stiamo vivendo.

LA STORIA DELLE CAVE

Una prima testimonianza della frequentazione delle cavità si legge in "Cenni di statistica mineralogica degli stati di S.M. il Re di Sardegna", dove Vincenzo Barelli scrive nel 1835 che furono trovati tre scheletri in una cavità di roccia alabastrina nei pressi di Piasco, insieme a una moneta del 260 d.C. con l'effige dell'imperatore Galieno. Non è noto però se l'attività estrattiva fosse già praticata all'epoca. Della cava di Piasco oggi non rimangono tracce.

Goffredo Casalis, nel 1830, riferisce che le prime escavazioni potrebbero risalire agli anni 1640-1650, ma senza darne certezza.

Un manoscritto del 1696 è la prima testimonianza scritta delle cave di Busca: una Capitolazione tra l'amministrazione patrimoniale della Real Casa dei Savoia e il Prefetto di Busca per la regolamentazione dell'estrazione e della fornitura d'alabastro per la decorazione della chiesa della Congregazione dell'Oratorio di S. Filippo Neri a Torino. Di questo periodo parla anche Occelli scrivendo la storia di Busca nel 1830, citando la cessione della cava al Principe Emanuele Filiberto di Carignano nel 1696. Dunque almeno la cava principale era attiva già precedentemente.

Nel 1756 un ordine della Camera dei Conti proibisce lo scavo perché la cava è ancora di proprietà del Principe di Carignano. Questo suggerisce che le cave fossero state trascurate dai Savoia, ma frequentate di nascosto da altri minatori.

La situazione muta nel 1814, quando le cave passano al Regio Demanio. Risale a questo periodo il campione conservato al museo interno del Liceo Classico di Cuneo, dono dell'Ingegnere delle miniere Emilio Galvagno, che operò nel cuneese nella prima metà dell'800. La donazione avvenne nel 1838, quando Galvagno curò la formazione delle prime collezioni e la messa in opera del museo stesso, atto che gli valse un ritratto conservato oggi nel deposito museale del Museo Civico di Cuneo.

Il Regio Demanio affitterà le cave soltanto dal 1° gennaio 1875, circa 60 anni dopo esserne entrato in possesso. Nella lettera della Prefettura al Sindaco di Busca si cita espressamente lo stato di abbandono delle cave. Questo periodo però dura poco, perché dal 4 maggio 1879 le acquista il Senatore Carlo Brunet, che diventerà Sindaco di Cuneo. È di questo periodo la donazione di Brunet di un campione al museo del Liceo di Cuneo, dov'è tutt'ora conservato.

Gli eredi di Brunet venderanno al loro volta le cave nel 1902, al sig. Carlo Boffa, insieme alle cave di bardiglio bianco di Valdieri e alla segheria di marmi di Borgo San Dalmazzo.

Nel 1908 Augusto Stella parla della cave, riportando anche una mappa, e definisce le condizioni della coltivazione come "rozza e primitiva": erano interamente scavate a mano per preservare il delicato alabastro. Solo in seguito si sarebbe usato anche l'esplosivo.

Si arriva così al 1961, quando una lettera del Sindaco al Corpo delle Foreste cita una cava ancora attiva, ma ormai siamo vicini all'esaurimento del materiale. Il sig. Frediano Rosso, figlio di uno dei proprietari delle cave, riferisce che la cessazione avvenne nel 1963 (Mirella Lovisolo in arteefede.com).

Nel 1977 la proprietà passò al sig. Bartolomeo Ballatore che tentò di riaprire la cava, ma trovò l'opposizione dei confinanti e abbandonò l'iniziativa (La Stampa, pagina di Busca, 19/10/2007).

I LAVORI ALLA CAVA

L'area dalla Marmorera è solcata da cinque scavi, larghi in media 2-4 metri, alti meno di 35 m. e lunghi a 100 m. Sono pressoché paralleli con direzione NW-SE.

Nel dettaglio, le cinque cave:

C1a: 27m. lungh., 1,4-2,4 m. largh., 688m di quota ingresso

C1b: 63m. lungh., 0,9-3,9 m. largh., 700m di quota ingresso

C2: 53m. lungh., 1,8-4,2 m. largh., 704m di quota ingresso

C3: 78m. lungh., 1,6-3,6 m. largh., 689m di quota ingresso

C4: 96m. lungh., 1,9-4,0 m. largh., 660m di quota ingresso

Un nuovo sito è citato nel libro: "L'Alabastro di Busca tra arte e scienza", Marengo & Costa, 2016, da cui sono tratte gran parte di queste informazioni e a cui si rimanda per gli approfondimenti: il sito, scoperto di recente, è definito C5 e si trova a 0,5 Km dalla cava principale, in linea d'aria, poco visibile.

L'alabastro estratto era un materiale eterogeneo e poco resistente, quindi veniva tagliato in piccoli blocchi, che al massimo raggiungevano 1-2 metri. I difetti potevano essere MANDORLE, poco compatte, con concentrazioni di ossidi e idrossidi di ferro, CASE, cioè dei vuoti interni al blocco, che si scoprivano solo al taglio, e INTRONATURE, cioè fratture interne al blocco.

Il trasporto avveniva con slitte e animali da soma, come i buoi, ma anche, nell'ultimo periodo, con vagoncini Decauville che si muovevano su rotaie tra le cave C3 e C4. Si seguivano strade sterrate, come quella che scende in città, ampliata nel 1824 per facilitare i lavori di cava, o quella attraverso la Colletta di Rossana verso Piasco, che aveva cavapietre nelle vicinanze, o ancora quella della Colletta di Busca dalla parte di Dronero.

Gli scarti del materiale venivano gettati nelle imponenti discariche ancora visibili oggi all'uscita dei canyon. Questo materiale poteva essere utilizzato per fare una calce dolomitica di scarsa qualità, che si portava alla vicina fornace di S. Stefano.

Agli scavi lavoravano una ventina di persone (nel '900), che si calavano fino alla vena lungo le pareti dei canyon, su travi di legno posti di traverso e legati con grosse funi alla sommità. Le cariche esplosive vennero usate solo nel XX secolo, deboli, per non rovinare il materiale: le barramine sono ancora visibili sulle pareti. I preziosi blocchi venivano poi isolati manualmente con scalpelli, picconi e mazze appuntite.

USI

Si trovano molti lavori in Alabastro di Busca, o Onice Piemonte, in residenze di personaggi importanti, chiese, palazzi: era così ricercato e prezioso che in certi casi veniva imitato dipingendo ad arte elementi architettonici in legno.

Nella Basilica di Superga, per esempio, la tomba di Carlo Alberto, tutt'ora visibile al centro della sala nella Cripta (il sarcofago non fu spostato sulla parte, come si usava fare quando il re in carica moriva e prendeva il posto del precedente, perché la capitale fu spostata e i nuovi sovrani venivano tumulati a Roma), a formare i quattro vasi sul sarcofago, i panneggi, il rivestimento delle pareti e della volta.

La chiesa di San Filippo Neri, a Torino, progettata da Filippo Juvarra, ha le sei grandi colonne tortili dell'altare maggiore in alabastro di Busca, le colonnine delle balaustre degli altari minori e le dodici grandi colonne agli accessi delle cappelle laterali. La necessità di decorare questa chiesa fu all'origine dello sfruttamento nel '600.

A Mondovì lo si trova nella cattedrale, dove costituisce la croce della Cappella del Suffragio, mentre nella chiesa di San Donato, sempre a Mondovì, progettata da Francesco Gallo nel 1743, l'alabastro è imitato perfettamente dipingendo le lesene: era già molto famoso e ricercato, ma aveva costi proibitivi.

Francesco Gallo lo inserì anche nella Cappella di San Bernardo (secolo XVIII) nel santuario di Vicoforte, dove raffigura il panneggio.

A Busca fu usato nella Confraternita della S.S. Trinità per la balaustra, opera di Antonio Bionda del 1738: la completò al prezzo di 355 lire. Le colonne ai lati sono invece imitazioni dipinte.

All'estero era conosciuto e apprezzato: si trova per esempio nei due caminetti alla casa natale di Napoleone, in Corsica, o in quello del Sanatorio Fenaille a Severac La Chateau, in Francia, voluto da Maurice Fenaille nel 1912, un petroliere collezionista d'arte.

Nel continente americano si trova nella chiesa della città di Rochester (USA): nel 1952 fu usato per gli inserti dell'altare laterale. In Canada a Bowmanville, in Ontario, nel 1905, fu donato in forma di orologio da tavolo al matrimonio della figlia dell'editore del giornale locale.

Questi sono solo alcuni esempi di uso locale, nazionale e internazionale di un materiale che fu considerato a lungo come prezioso ed elegante. Nel tempo il gusto degli arredi sarebbe mutato verso colori più chiari, ma l'alabastro era già esaurito prima che la domanda diminuisse.

Si è poi scoperto che, con ogni probabilità, le vene di alabastro continuano sotto il piano di calpestio delle cave, ma ormai pare che non sarebbe più redditizio per la scarsità di materiale ricavato e l'alto costo di estrazione. Scendendo nell'ingresso della Grotta della Marmorera si nota un ramo della cavità che torna in direzione del canyon: è troppo stretto per essere praticabile, ma pare mostrare nuovi depositi di Alabastro. Sulle pareti dei canyon si possono osservare rare concrezioni residue, che in certi casi sono di recentissima formazione.

LA GROTTA DELLA MARMORERA

L'area carsica possiede anche una grotta, catastata come PI CN 1195 "Grotta della Marmorera". Fu mappata una prima volta nel 2000 dallo Speleo Club Cuneo.

Si trova al fondo di C4. Si apre a quota 665 m e scende per 4 m. con uno sviluppo lineare di 20 m, e un salto all'ingresso che richiede l'uso di corde.

L'ingresso fu disostruito poiché era parzialmente bloccato da un masso vicino all'entrata. La grotta è allineata con l'asse del canyon e ne rappresenta la continuazione, o l'origine. La grotta presenta anche concrezioni recenti con cristalli di calcite.

La fauna interna è stata censita fin dal 1969, quando si ha una citazione di Morisi circa "una piccola cavità sulla collina di Busca". Viene poi citata come "Grotticella delle cave, com. Busca" da Brignoli nel 1971 durante altre ricerche faunistiche. L'ultimo lavoro di Lana, Giachino e Casale (2021) riassume tutte le specie note in passato e vi aggiunge quelle scoperte da Lana e Chesta dal 2000 in poi, che consistono in 10 specie di ragni, 1 di isopodi, 5 di coleotteri, fra cui Parabathyscia dematteisi dematteisi, 1 di tricotteri e pure un rospo comune.

IL SITO ATTUALE

I canyon sono oggi una attrattiva turistica interessante per la storia che possono raccontare sulle cave e sull'uso dell'alabastro, tanto importante nei secoli scorsi. Il sito è interessante anche geologicamente perché è un raro esempio, per il nord Italia, di un sistema di grotte giunte alla fine del loro "ciclo vitale" col riempimento totale da parte delle concrezioni, poi sfruttate a fini minerari. Infine, gli studi paleoclimatici condotti sull'alabastro permettono di ricostruire l'andamento del clima nel passato e di conseguenza di ipotizzare com'era l'ambiente circostante negli ultimi 300.000 anni.

Per la visita si consiglia di appoggiarsi alle iniziative del Comune di Busca, che organizza escursioni guidate in occasione di eventi in città: sul sito del Comune e sui canali social sono riportati gli aggiornamenti.

BIBLIOGRAFIA


 

Sitografia


 

La storia dell'Alabastro nella chiesa della S.S. Trinità di Busca

 

http://www.magichealpicozie.it/L_Alabastro_delle_tombe_dei_re.htm
 

Catasto Grotte Piemonte: pagina dedicata alla Grotta della Marmorera

 

Mindat.org: pagina dedicata alle cave di Busca

 

Mindat.org: pagina dedicata ai minerali dell'area di Busca

 

 

Pubblicazioni


 

Brignoli P.M., 1971: Note sui ragni cavernicoli italiani (Araneae). "Fragmenta entomologica", VII: 121-229

 

Casalis G., 1846: Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna (Maspero e Marzorati, Torino). Vol. XIV

 

Lana E., Giachino P.M., Casale A., 2021 - Fauna Hypogaea Pedemontana. Grotte e ambienti sotterranei del Piemonte e della Valle d'Aosta. WBA Monographs 6, WBA Project Ed., Verona: 1-1044

 

Marengo Alessandra, Bittarello Erica, Borghi Alessandro, Costa Emanuele, 2014: Caratterizzazione mineralogica e Petrografica dell'Alabastro di Busca. Giornate Mineralogiche di Tavagnasco, Atti del Convegno.

Reperibile a richiesta da QUI

 

Marengo, Alessandra; Borghi, Alessandro; Bittarello, Erica; Costa, Emanuele, 2019: Touristic Fruition of the Disused Quarry of Busca Onyx: Problematics and Strategies. GEOHERITAGE, n.11, pp. 47-54

Scaricabile in pdf da QUI

 

Pdf editoriale reperibile a richiesta QUI

 

Marengo Alessandra, Borghi Alessandro, Cadoppi Paola, Costa Emanuele, 2014: The Busca Onyx: An historical ornamental stone from Piedmont. In: Research and preservation of ancient mining areas - yearbook of Institute Europa Subterranea. Silvertant, pp 171-181

Reperibile a richiesta QUI

 

Marengo Alessandra, Borghi Alessandro, Costa Emanuele, Santoro Licia, 2015: Multi-disciplinary approach to the characterization of an ornamental stone: the case study of “Busca Onyx. In: RENDICONTI ONLINE DELLA SOCIETÀ GEOLOGICA ITALIANA Congresso congiunto SIMP-SGI-So.Ge.I-AIV 2015, Firenze.

 

Marengo Alessandra, Borghi Alessandro, Costa Emanuele, Santoro Licia, 2016: Recovery and touristic fruition of a dismissed quarry area. The case of Busca Onyx quarry: Characterization of the site and valorisation strategies. IX Congresso Nazionale AIAr, Università della Calabria

 

Marengo Alessandra, Costa emanuele, 2016: L'Alabastro di Busca tra Arte e Scienza. Comune di Busca. pp 148

Scaricabile in pdf da QUI

 

Morisi Angelo, 1969: Il laboratorio sotterraneo di Bossea. Primi risultati. Mondo ipogeo, Bollettino del Gruppo Speleologico Alpi Marittime C.A.I., Cuneo, 5. 35-38
 

Occelli S., 1979, ristampa: Busca nei tempi antichi e moderni (Comune di Busca)

 

Stella A., 1908: Le cave di alabastro e di altri materiali calcarei del Saluzzese. In: Bollettino del Regio Comitato Geologico d'Italia, vol. IV. Tipografia Bertero, Roma.

 

 

 

Autori: Alessandra Marengo (Università di Torino), Emanuele Costa (Università di Torino), Dario Olivero